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domingo, 15 de junho de 2014
Akira Sakata & Giovanni Di Domenico "Iruman" review @ Percorsi Musicali
Ettore Garzia writes:
Spesso non si valuta in senso positivo l'immediatezza di un gesto artistico. Soprattutto nell'arte complessa si è propensi a credere che sotto le spoglie di un set lungo e articolato si celi sempre una personalità di pari sostanza; ma se scorriamo la storia della musica di gesti artistici relativamente semplici e immediatamente fruibili dall'ascoltatore ne abbiamo avuto conferma varie volte ed in misure più o meno eclatanti: prendete in considerazione l'imponenza instantanea di un pianista alle prese con una performance romantica, di un jazzista che in quattro accordi vi catapulta in un'oasi di rilassamento o di benessere interiore o di un rocker che si inventa con successo qualche pandomina per attirare inesorabilmente l'attenzione e la corrispondenza dell'audience.
Arrivare velocemente nei sistemi di percezione degli uditori (non importa se discretamente o violentemente) è una delle maggiori qualità di un musicista: ed è esattamente quanto avviene in "
Iruman
", una registrazione effettuata a Tokio da un duo inedito di jazzisti appartenenti a sponde geografiche diverse. Da una parte il pianista Giovanni Di Domenico e dall'altra il sassofonista Akira Sakata. Nonostante l'evidente differenza d'età, la differenza generazionale è il fattore di riuscita di "
Iruman
", i due musicisti proiettano i loro mondi artistici mettendoli di fianco l'uno con l'altro ma senza prevaricazioni, quasi con rispetto; e nell'integrazione non sintetica delle due prospettive se ne ricava una ulteriore che è la somma amplificata di entrambe. Sakata porta con sè la sua pragmatica ed unica visuale orientale (che abbiamo avuto l'onore di ascoltare nelle tante prove della sua carriera) che si nutre anche dell'improvvisazione libera rivisitata come in una sorta di filtro universale, privata nel senso, delle sue originali connotazioni occidentali. Akira si libra tra melodiche escursioni, brevi ed ipnotiche elucubrazioni vocali mistiche che sanno di tradizione e progettualità teatrale, campanelli che funzionano come breaks di scena ed improvvise sferzate nello spettro dell'improvvisazione più rude e caotica. Una carta vincente da sempre.
Di Domenico invece è un frutto della modernità: pensoso, sistematico, con approcci differenziati alla tastiera, non disdegna un respiro melodico che inevitabilmente porta il nostro pensiero ad una ronda classicista. Ma la vera qualità artistica di Giovanni è il saper mettere le note giuste al posto giusto nel mosaico che si compone gradualmente per via di quella funzione subdola che crea e forma immagini mentali nello sviluppo musicale. Una capacità evocativa sempre presente, che utilizza patterns musicali differenti, ma che avvinghia e non delude mai.
"Iruman" è pieno di queste connotazioni e segna vertici per entrambi i musicisti: è anche una testimonianza culturale antropologica, poichè cerca di trovare una corrispondenza umanitaria universale che dimostri che (al di là di quello che ci racconta la storia) sia possibile ripescare un grado di appartenenza biologica degli individui di tutto il mondo che sia immune da vizi.
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